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Sin dagli esordi, tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta, Pablo Echaurren manifesta il suo interesse per Marcel Duchamp quando esegue la serie dei cosiddetti "quadratini", opere fondate sulla miniaturizzazione e la ripetizione del segno, sulla commistione tra fonti alte e basse, sull'intreccio straniante tra parola e immagine. A distanza di quarant'anni Echaurren torna a riflettere sull'opera duchampiana, realizzando un nuovo ciclo di cinquanta collage dedicati alla "Boîte verte" (1934), da cui emerge una rilettura del modello più cerebrale e meditata che in passato, sintomo dell'urgenza di riannodare i fili di un dialogo avviato in gioventù e mai interrotto, che oggi ha un'intonazione autobiografica e il carattere di un primo bilancio retrospettivo sul proprio percorso artistico ed esistenziale. Confrontandosi oggi con l'opera di Duchamp, Echaurren rilegge la sua storia personale, le passioni, le idiosincrasie e le ossessioni di una vita spesa a demistificare il culto dell'arte, intesa come ambito separato dall'esistenza, e i valori di unicità e genialità a essa associati.